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Ecco l’opinione del vostro redattore sulla faccenda delle grandi navi da crociera dentro e fuori della Laguna.

Da una parte tutti sono d’accordo sul fatto che Venezia sta scoppiando sotto il peso di un turismo di massa che non è più ragionevole. Le proposte di modi per “gestire i flussi” si accumulano: tornelli a San Marco, tasse altissime per chi non prenota, sette “hub” per fermare gli arrivi in eccesso. Tutti lamentano la scomparsa dei negozi di vicinato, la chiusura di aziende artigiane, la trasformazione degli appartamenti in alberghi, l’intasamento di vaporetti, calli e campielli.

Dall’altra parte, nessuno, proprio nessuno, dei candidati al Consiglio comunale ha avuto il coraggio di inserire nel proprio programma il divieto di fermata a Venezia per le grandi navi da crociera. Se trenta milioni di turisti l’anno sono decisamente troppi (venti milioni di troppo secondo il professor van der Borg), non si vede perché si debba scavare un canale di cinque chilometri e allargarne uno di sedici per far entrare altri due milioni e mezzo di turisti. Non si vede perché si debba tollerare l’inquinamento atmosferico, acqueo, acustico, estetico oltre che di esseri umani che ne deriva. L’associazione Ambiente Venezia da una parte pubblica un prezioso “libro bianco” nel quale denuncia i mali provocati dalle grandi navi e dall’altra sostiene la creazione di un porto d’ormeggio per loro, di fronte alla riva del Cavallino, tra l’orrore degli abitanti di quel luogo.

La ragione degli apparenti paradossi non è misteriosa. E’ nella propaganda con la quale l’autorità portuale e l’agenzia che gestisce le crociere (la Vtp) difendono l’indifendibile: le crociere creerebbero cinquemila posti di lavoro. Di fronte ai “posti di lavoro” tutti s’inchinano. Perfino il senatore Casson, che pure vede bene i danni connessi alle crociere, non osa mettersi contro i portuali, i portabagagli, le agenzie turistiche che forniscono le hostess. Le considerazioni elettorali hanno la meglio su tutto. Si parla di un sano “realismo” che costringerebbe ad accettare i “compromessi”.

La politica, si ripete, deve saper mediare. Il risultato è che non si ha il coraggio di guardare in faccia la realtà. I “posti di lavoro” sono pochi e mal pagati: interinali, stagionali, a tempo parziale e molto meno numerosi di quanto si dica (forse cinquecento invece che cinquemila). Inoltre essi impediscono la creazione di altri posti, più duraturi e più specializzati, che non possono nascere in un ambiente tutto dedicato al turismo mordi e fuggi: dove c’è il turismo di massa non sorgono le start up né le aziende di ricerca e sviluppo. Dove si vendono mascherine a cinque euro spariscono gli indoradori, i remèri e i rilegatori di libri antichi. Dove arrivano i gruppi organizzati spariscono i residenti.

Accettare le crociere in nome dei posti di lavoro corrisponde a un suicidio a lungo termine. Corrisponde all’accettazione, una volta per tutte, del fatto che Venezia è destinata a diventare un parco turistico. L’arrivo delle grandi navi, sia in Marittima o a Marghera o al Cavallino, sigilla questa visione e la perpetua anche agli occhi dei media mondiali.

Ma in città rimane un gruppetto di abitanti, forse esiguo ma non estinto, che ancora combatte contro quella trasformazione. I residenti della Venezia insulare sono in gran parte con quel gruppetto. Sono persone che vedono lontano e che amano la loro città più di quanto amino il successo elettorale o la reputazione di essere “realistici” e di saper accettare i “compromessi”. La semplicità e la bellezza della loro visione sono evidenti e toccano il cuore di ognuno, a Venezia e nel mondo. Se riusciranno a emergere e a farsi ascoltare forse non tutto sarà perduto.

Questo articolo ha 4 commenti

  1. Il testo di Paolo è troppo generale e quindi generico: mette tutto e tutte le proposte sullo stesso piano .
    Chiediamo da tempo di valutare la proposta di Avamporto Galleggiante:
    piccolo crocierismo di qualità in Marittima ( e riuso della parte a nord e est a servizio della città); limiti alle dimensioni e alla quantità anche delle grandi navi da crociera (quattro approdi, due grandi e due minori), eliminazione degli inquinamenti, strutture galleggianti realmente rimovibili in dieci giorni che non comportano scavi dei fondali e del caranto alla bocca, collocate tra i due canali esistenti e agganciate all’isola del Mose per non coinvolgere i litorali a nord del Cavallino e a sud del Lido.

    1. Grazie Stefano per la tua risposta. E’ vero che non ho avuto lo spazio per menzionare le singole proposte ma quello che volevo dire era che non c’è posto a Venezia per le grandi navi, dentro o fuori della laguna. Con tutto il rispetto e l’amicizia, penso che anche la proposta di voi tre pur eroici professori costituisca un cedimento alla retorica dei “posti di lavoro” o al “realismo politico” di Tommaso Cacciari e dell’ottimo Danella. Ma ammetto volentieri che di tutti i progetti il vostro è il meno impattante e l’unico che mette in primo piano il rapporto con l’ambiente e con i residenti della città. Spero che avrò l’occasione di dirlo in pubblico.

  2. Purtroppo devo dare ragione in toto con l’estensore dell’articolo è sia i nuovi canali che l’avamporto per le grandi navi non faranno che perpetuare i danni e i problemi. Il danno minore,che sempre danno e’, sarebbe lasciare transitare le navi nell’odierno tragitto quantificando peraltro una misura compatibile massima e battendosi invece per un abbattimento dell’inquinamento in navigazione ed una sua eliminazione all’ormeggio (alimentazione da terra). Oltre ad un contributo( tipo tassa di soggiorno) per ogni passeggero come già avviene per i turisti pernottanti in città.

I commenti sono chiusi.

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