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(Immagine: una delle sale da pranzo a bordo della “Navigator of the Seas”). Continuiamo la nostra presentazione di alcuni passi del libro di Elizabeth Becker, Overbooked, (New York, Simon and Schuster 2013). Dal capitolo sulle Crociere traduciamo alcuni brani che ci sembrano rilevanti.
 Ecco l’arrivo al porto di Cozumel (presumibilmente non diverso dall’arrivo a tutti gli altri porti, incluso quello della Marittima di Venezia), pp. 129 e 132).
Ed ecco un’intervista con Ted Arison,  fondatore e proprietario della Carnival Cruise, che pubblichiamo casualmente in coincidenza con l’arrivo a Venezia di suo figlio Micky per la firma di una commessa alla Fincantieri di Venezia (2 aprile 2016). La commessa riguarda la costruzione di ben cinque nuove navi da crociera, per un costo di tre miliardi di euro, da consegnare entro il 2020. Nel frattempo la Carnival Cruise (assieme ad altre compagnie di crociera internazionali) ha acquistato una parte delle azioni del terminal passeggeri di Venezia (Vtp) che possiede banchine e parcheggi nel porto della Marittima, entrando sempre più a fondo nell’economia (e indirettamente nella politica) della città.

La mattina seguente ci siamo ormeggiati all’isola di Cozumel. Eravamo parte di una mini-armada di otto navi da crociera arrivate quello stesso giorno, ognuna adorna delle insegne del suo marchio aziendale, orecchie di Topolino per le navi della Disney, una coda rossa d’aereo in volo per la Carnival, e ognuna con il suo carico di almeno 2.000 persone. Erano almeno 16.000 persone che si avviavano verso terra per un pomeriggio di divertimenti.
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Ora cominciavo a capire il punto di forza delle crociere. Su quelle navi si viaggia al riparo da ogni sforzo perché vengono eliminati tutti i piccoli rischi che si possono correre nei luoghi non familiari. Una volta comprato quel biglietto, non si deve più muovere un dito. Niente da organizzare, nessuno spostamento da un albergo all’altro, niente autobus o taxi da prendere per trovare un caffè che poi si rivela deludente. Le escursioni a terra sono programmate minuziosamente e non richiedono alcuna comprensione di lingue o culture straniere. Si disfa la valigia una sola volta, si dorme nello stesso letto e ogni mattina si legge il bollettino  delle attività per decidere se partecipare alla “Competizione delle gambe maschili più sexy” o seguire una lezione gratuita sull’uso delle macchinette per il gioco d’azzardo o piuttosto quella sul ballo del merengue per “restare in forma divertendosi” (tutte cose che abbiamo trovato offerte nel nostro secondo giorno di crociera). E’ il non plus ultra del viaggio organizzato.

Sulle “escursioni a terra” vi saranno alcuni brani nella prossima puntata. Ecco ora una pagina dalla breve biografia di Ted Arison, fondatore della Carnival Cruise (pp. 136-7 del testo inglese), interessante perché vi viene ben illustrata l’intuizione che sta dietro il successo delle crociere di massa. Per noi veneziani è particolarmente interessante notare che se la destinazione delle crociere fosse diversa da Venezia, non vi sarebbe probabilmente nessun serio calo di passeggeri, contrariamente a quanto la Vtp di Venezia cerca di far credere.  

Malgrado questi difficili inizi, Arison riuscì in cinque anni a portare l’azienda dall’indebitamento alla produzione di utili. Impose rigidi controlli sui costi e cercò l’economia di scala, facendo posto sulle navi per quante più persone possibile. Seguiva due idee fondamentali e radicali: ridisegnare le navi da crociera come contenitori di spettacoli e divertimenti anziché come mezzi di trasporto; e gestire grossi volumi a costi contenuti, operando negli Stati Uniti come compagnia straniera e  sottraendosi così a regole, leggi e ordinanze che impacciavano la concorrenza di terra. Arison faceva il gioco che gli asiatici chiamano “né tigre né cavallo”. Passando da un’etichetta all’altra, dichiarando in certi casi di essere un albergo e in altri una nave, le nuove strutture galleggianti sfuggivano al pagamento di milioni di dollari in tasse e stipendi e all’applicazione degli obblighi imposti dalla legislazione ambientale.

Queste idee si sono sviluppate gradualmente. La Carnival Cruise di Arison e la Royal Caribbean, suo principale competitore, cominciarono a riadattare le navi destinate a crociere nel Caraibi in modo da inserire spazi per spettacoli: animazioni con comici e attori, produzioni musicali, gruppi che suonavano nelle sale da ballo fino a notte, giochi con la partecipazione del pubblico. L’uso di cibi e bevande era fortemente incoraggiato. I ponti delle navi diventarono zone di giochi per adulti. Le tabelle delle attività reclamizzavano divertimento senza sosta.

La Mardi Gras non era abbastanza grande per tutte quelle attività, perciò Arison comprò una sua sorella e la chiamò Carnivale. Questa volta aveva le idee chiare fin dall’inizio e la Carnivale  andò in attivo dal primo anno. A quel punto  l’azienda aveva scoperto il suo tema ispiratore.

Nel libro Selling the Sea (“Vendere il mare”), scritto con Andy Vladimir, Bob Dickinson (ex presidente della Carnival Cruise, n.d.t.) ha scritto che quando arrivò alla Carnival Cruise nel 1973 l’azienda scelse l’espressione “fun ship” (nave divertente) per qualificare le sue crociere. “La nave in sé divenne la destinazione, e i porti toccati diventarono dei semplici bollini verdi (omaggi aggiuntivi). Questo era un capovolgimento totale del marketing crocieristico precedente. Fino a quel momento, la pubblicità delle crociere si basava sui luoghi di destinazione,” scrisse nel suo libro, e aggiunse: “Focalizzandosi sulla nave anziché sul porto, la Carnival poteva comunicare  al pubblico la vera natura dell’esperienza d’una crociera.”

Ed ecco un’intervista con il presidente della Royal Caribbean (pp. 143-4).

Adam M. Goldstein è il presidente e amministratore delegato della Royal Caribbean International. E’ un uomo esile con un forte e pungente senso dell’umorismo. E con un curriculum che include una laurea con lode a Princeton, una in legge a Harvard e un master con distinzione in management aziendale in una delle migliori università europee d’Economia.

Tre mesi dopo la mia crociera sul Navigator of the Seas mi concesse la rara opportunità  di un’intervista nel suo quartier generale di Miami, vicino al molo nel quale ormeggiano le navi da crociera della Royal Caribbean.  Abbiamo parlato per più di un’ora nel suo ufficio, una suite soleggiata e amichevole. Si era in marzo e il tempo era ideale; lui aveva in programma di andare a correre subito dopo l’intervista.

Rispose senza scomporsi alle critiche sull’industria delle crociere, accusandole solo una volta di snobismo. La sua difesa principale era la popolarità delle crociere. “La singola più importante causa del nostro successo è quanto felici rendiamo i nostri clienti. Perciò lei può parlare quanto vuole di altre cose, di regimi legali o fiscali, si possono fare tante conversazioni, ma se noi non rendessimo i clienti veramente felici in modo costante e al massimo livello di cui siamo capaci in fatto di viaggi e tempo libero, tutto il resto non avrebbe nessuna importanza.

Per ospitare ogni tipo di persone, famiglie, ragazzini, coppie e singoli fanatici di festini, pensionati e gruppi multi generazionali, le navi moderne sono progettate per creare delle “zone”.  Come a Disneyland, la pianta della nave tiene conto del traffico alle ore dei pasti, o degli alti volumi nelle zone di shopping e di giochi, verso i teatri e le aree sportive.

Glodstein usa l’immagine della fisarmonica per descrivere come a bordo si consideri ogni gusto e ogni età. Per esempio, ecco come una crociera funziona bene per le riunioni familiari.

“La famiglia si disperde durante la giornata, i nonni fanno quello che preferiscono, i bambini quello che piace a loro, e tutti si trovano assieme per cena,” ha detto. “Parlano di quello che hanno fatto oggi e di quello che faranno domani e parlano di tutto quello di cui vogliono parlare, e quando la cena è finita la fisarmonica si allarga di nuovo e se ne vanno ai loro rispettivi passatempi… E questo funziona bene solo se ogni generazione trova costantemente qualche programma che la soddisfa.”

Quel livello di servizio e intrattenimento a prezzi così bassi spiega il successo, e quei prezzi bassi si spiegano con i bassi salari corrisposti al personale di bordo.

Goldstein dice che è sbagliato paragonare i salari delle crociere con quelli americani. Piuttosto, dice, bisognerebbe  paragonarli a quanto il personale riceverebbe nel proprio paese di residenza: le Filippine, la Turchia, la Serbia o l’India.

“I nostri salari sono di entità ben diversa,” ha detto. “Se prendete un paese qualsiasi e i nostri dipendenti vengono da quel paese, loro ci vivono. E nel nostro caso, quello che facciamo è che riusciamo a offrire opportunità fantastiche per gente di molte nazioni di tutto il mondo.

Quello che riescono a guadagnare con noi è di solito molto più di quanto guadagnerebbero restando dov’erano,” ripeteva Goldstein. “Perciò la nostra opinione, tutt’altro che stranamente, è che forniamo a persone di tutto il mondo delle opportunità di lavoro fantastiche, che senza di noi non esisterebbero.”

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