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Nel 2011 uscì uno studio del COSES (agenzia, ricordiamolo, di proprietà di Comune e Provincia) che si presentava come un calcolo “scientifico” e “obiettivo” del numero di turisti presenti a Venezia. La cifra offerta era di 21,5 milioni di presenze all’anno. Quel numero, martellato senza sosta da enti pubblici e privati, fu preso per buono da tutti i media del mondo e viene ripetuto ancora oggi dai meno aggiornati. Ma Italia Nostra non era d’accordo. Fu proprio l’autore di queste righe che, su commissione dell’editore Corte del Fontego, ricalcolò quel numero sulla base dei dati più affidabili che riuscisse a trovare e giunse alla conclusione, nel 2013, che i turisti in realtà erano 30 milioni, approssimati probabilmente per difetto. Ma si sa, le associazioni di cittadini non hanno presso i media lo stesso credito dei centri di studio finanziati dagli enti pubblici, e solo pochi illuminati accolsero quel numero, benché bastasse guardarsi un poco intorno per vederlo confermato. Poi, nel 2014, il Comune lasciò cautamente trapelare il numero di 27 milioni, quasi a preparare il pubblico a un confronto con la realtà. Adesso finalmente ci si avvicina al vero (nel frattempo i 30 milioni sono probabilmente aumentati). E’ già un passo avanti. Ora si tratta di capire che cosa si vuol fare di fronte a flussi così imponenti. Ci si rende conto che essi creano il proliferare di bancarelle e negozietti di cianfrusaglie? Che stanno cacciando i negozi di quartiere e gli stessi residenti, grazie a una legge regionale che autorizza chiunque a trasformare la propria casa in una “struttura ricettiva”? Nessuno osa dire apertamente che occorre più che dimezzare quel numero (il solo professor van der Borg, che insegna Economia del turismo, ripete agli amministratori sordi che dobbiamo rientrare nei 10 milioni di una volta). Qui siamo di fronte a uno dei limiti delle democrazie elettive: i gruppi politici temono di perdere i voti di tassisti, gondolieri, piccoli commercianti, guide turistiche autorizzate e non, ambulanti, operatori di lancioni gran turismo. E continuano a ripetere che i turisti non sono troppi. Sarebbero solo mal distribuiti: occorrerebbe “spalmarli” nelle poche zone della città in cui vanno raramente (rovinando anche quelle). Ma i social network sono ormai pieni delle proteste di centinaia e centinaia di veneziani , che cominciano a ribellarsi. Poiché la democrazia è comunque l’unico modo giusto di reggere una società, dobbiamo chiederci: se si facesse una conta, è proprio vero che i residenti sarebbero in favore della continuazione di questo stato di cose? O non è vero invece che chi trae vantaggio dal turismo di massa ormai non abita più a Venezia e che chi ci abita ha oltrepassato i limiti della tolleranza?

Nelle ultime elezioni Luigi Brugnaro, con i suoi progetti di “sviluppo” anche turistico è stato eletto dalla maggioranza dei votanti, ma non nella Venezia insulare, dove avrebbe vinto l’altro candidato, meno entusiasta di crociere e di bancarelle (ma condizionato a sua volta dalla macchina del suo partito, tradizionalmente favorevole ai mestieri del turismo di massa, un tempo esercitati dal popolo delle sinistre). Forse allora per arrivare ad affrancare Venezia da un futuro di Disneyland occorre proprio arrivare alla separazione amministrativa dalla terraferma. Un caso recente conferma questa ipotesi: quando la Soprintendenza ai monumenti ha tentato di porre un limite all’invasione di Ruga Rialto da parte delle bancarelle, la Regione Veneto è intervenuta a sostegno dei commercianti che con le loro mercanzie avevano tutto invaso. Forse alla Regione non importano né la qualità della vita dei residenti né le bellezza e sacralità dei luoghi. Ma c’è una speranza che quelle cose contino ancora per chi Venezia la vive e l’ama ogni giorno.

Leggete qui l’articolo di Enrico Tantucci sulla Nuova Venezia.

Vitucci su turismo

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